L’intervento I.E.M. è il risultato della nostra esperienza clinica e riabilitativa con persone affette da deficit del linguaggio e della cognizione sociale, intesa come la capacità di attribuire un senso ai comportamenti umani e “core deficit” (centro-fulcro) della sindrome autistica.
L’esigenza di avere materiale strutturato e motivante ci ha portato a digitalizzare il materiale creato negli anni, rendendo così l’intervento più piacevole e di conseguenza efficace. E’ noto che la motivazione facilita i processi di apprendimento (Bruner, 1996) e che le tecnologie sono particolarmente apprezzate dalle persone con autismo ma non solo, rivelandosi ottimi supporti per la riabilitazione. Nell’ambito del progetto “LULA per tutti i bimbi” queste si sono dimostrate un indispensabile strumento di trasmissione e codifica delle informazioni sociali, congeniali alla teoria di riferimento: teoria della simulazione incarnata diventando parte integrante del percorso.
Modello teorico di riferimento
I l modello di Mente che ha ispirato questo intervento è quello della “simulazione incarnata” sostenuta dalla scoperta dei neuroni specchio: particolari cellule nervose localizzate nei lobi frontale (sede dell’area di Broca e della corteccia premotoria) e parietale (inferiore e anteriore) dell’emisfero sinistro che si attivano non solo quando eseguiamo un’azione o esprimiamo un’emozione o una sensazione ma anche quando le osserviamo compiere dagli altri o addirittura mentre le ascoltiamo o le leggiamo (Rizzolatti et al., 1996; Gallese et al., 1996; Kohler et al., 2002). Quindi anche se perfettamente immobili il nostro sistema motorio è attivo come se in quel momento fossimo impegnati nella loro esecuzione generando una delle capacità sociali fondamentali per le relazioni umane ossia la capacità di “metterci nei panni dell’altro”.
La simulazione incarnata e la cognizione sociale
Il rispecchiamento dell’altro dentro di noi generato dal sistema specchio, permette di esperire la dimensione affettiva e sociale delle azioni umane consentendo una comprensione automatica, diretta dell’altro senza filtri o mediazioni logico-inferenziali come invece sostenuto dalla psicologia cognitiva classica. Tale meccanismo che lega “chi guarda a chi fa” è stato chiamato “meccanismo della simulazione incarnata” (Gallese, 2003) ed è ritenuto la base comune per le relazioni sociali. La comprensione degli altri secondo quest’ottica si attuerebbe in virtù dell’equivalenza semantica tra azioni compiute e osservate.
La simulazione incarnata e il linguaggio
L’estensione dei sistemi specchio nell’area di Broca, area del linguaggio, fa ritenere che anch’esso abbia meccanismi radicati funzionalmente con il sistema motorio. La presenza di un sistema specchio in quest’area ha suscitato un vivace dibattito scientifico tra gli studiosi sulle sue origini. Le più importanti ipotesi sono quella innatista secondo cui il li nguaggio si sarebbe originato in seguito ad una discontinuità filogenetica ossia ad una improvvisa mutazione che avrebbe portato all’emergere di una nuova abilità complessa (Chomsky, 1957) e quella evoluzionista secondo cui il linguaggio sarebbe invece l’esito finale di un lungo processo evolutivo in continuità con le altre forme di comunicazione (continuità filogenetica). Secondo questa visione, il linguaggio si sarebbe sviluppato in virtù di una semantica delle azioni legata al sistema specchio da cui nel corso dell’evoluzione, si sono interfacciate le diverse componenti del linguaggio (Rizzolatti e Arbib, 1998; Rizzolatti e Craighero, 2004; Hickok e Poeppel 2004). L’ambito linguistico ritenuto filogeneticamente più recente è quello fono-articolatorio originato da sistemi specchio sempre più specializzati. L’ipotesi del legame tra sistema specchio e sistema vocale è supportata da una nutrita serie di evidenze sperimentali (vedi: Fadiga et al., 2002; Gentilucci e Corballis, 2006). In particolare, si è evidenziato che udire suoni linguistici altrui evoca i potenziali motori dei muscoli richiesti per articolarli (Rizzolatti, Sinigaglia 2006). Un’ulteriore sostegno a quest’ipotesi ci perviene da una ricerca effettuata da Meltzoff e Moore (1977) che ha dimostrato che già a poche ore dalla nascita i neonati sono capaci di riprodurre i movimenti della bocca prodotti dall’adulto di riferimento in giochi interattivi. Questi studi hanno rivalutato la Teoria Motoria della percezione del linguaggio parlato, originariamente formulata dall’americano Alvin Liberman (Liberman e Mattingly, 1985).
I neuroni specchio e l’autismo
La scoperta dei neuroni specchio ha assunto una particolare rilevanza proprio nell’ambito di quelle patologie legate ai disturbi della cognizione sociale come l’autismo. Il deficit nella reciprocità sociale è infatti ritenuto l’aspetto più rilevante di tale disturbo e dato l’importante ruolo rivestito dai sistemi specchio nella codifica dell’informazione sociale si è fatta strada l’ipotesi che l’autismo fosse causato da un malfunzionamento di questi sistemi (Gallese, 2006). Di fatto per un bambino con autismo, comprendere il significato di un azione, di un gesto o di un’espressione è spesso una difficoltà insormontabile. E un filone di studi sperimentali sia neurofisiologici (Ramachandran, Oberman, 2006) che di brain imaging (Iacoboni, Dapretto, 2006) ha dimostrato che nei soggetti affetti da autismo vi è un deficit di attivazione del sistema specchio rispetto a soggetti con sviluppo tipico durante l’osservazione di azioni compiute da altri. Questi risultati convalidano sempre più l’ipotesi del malfunzionamento dei sistemi specchio alla base dei disturbi autistici. In particolare, i soggetti autistici mostrano un’assenza totale di attivazione del sistema premotorio dei neuroni specchio ed un’ipoattivazione dell’insula e dell’amigdala, con invece un’iperattivazione delle cortecce visive. Questi risultati sono molto importanti in quanto mostrano che, anche quando gli autistici riescono a riconoscere ed imitare le emozioni, lo fanno utilizzando una strategia completamente diversa da quella utilizzata dai soggetti sani (Gallese, Migone, Eagle, 2006). I sistemi specchio sono attivi in ogni momento del nostro quotidiano. Sperimentiamo in ogni momento della giornata emozioni che influenzano i nostri stati d’animo connotando affettivamente la situazione in cui siamo immersi: proviamo piaceri, dispiaceri, indignazione, solitudine, gioia… E non ci è dato sottrarci né con il ragionamento né facendo finta di niente, perché impregnati di quell’emozione. Ma quando i sistemi sono spenti come nelle persone autistiche, la comprensione dell’altro rimane unicamente accessibile, quando è possibile, mediante una ricostruzione teorico-cognitiva (Gallese, Migone, Eagle, 2006).